Sentiero della Guerna
BRICIOLE DI STORIA
Terra e gente di Adrara
Sino al 1754, anno in cui furono definiti i confini territoriali e i beni appartenenti alle due comunità, Adrara San Martino e Adrara San Rocco formavano un unico comune, in antico detto di Adraria.

“Il movimento separatista dei frazionisti di San Rocco iniziò verso il 1645” scrive lo storico don Bruno Bellini, ma ci volle più di un secolo per giungere a un accordo. Con il quale si decise “di far una intiera e perfetta divisione” dei “beni e dazij” dei due comuni, seguendo il “criterio dei 5/9 per San Martino e dei 4/9 per San Rocco”.

Per un breve periodo, nel 1809, durante il periodo napoleonico, i due comuni tornarono insieme, col nome di Adrara, per poi separarsi definitivamente nel 1816.
All’epoca della divisione, nel 1776, Adrara San Martino contava 425 abitati, Adrara San Rocco 260. Per ambedue l’apice demografico fu nel 1911, prima della Grande Guerra: in San Martino v’erano ben 2.643 abitanti, in San Rocco 1.050.
Tra i dati sulla popolazione spiccano i 2.164 abitanti del 1596, quando ancora il comune era unitario, che corrispondono a oltre il triplo di quelli, complessivi, censiti quasi due secoli dopo. Si tratta del dato riportato dal capitano Giovanni da Lezze nella sua “Descrizione di Bergamo e suo territorio”, che costituisce la relazione di fine mandato, appunto nel 1596, del rettore veneziano.

In questo dettagliato rapporto sulla terra bergamasca di fine Cinquecento troviamo interessanti notizie anche su Adrara, una delle dodici terre in cui era suddivisa la circoscrizione (“quadra”) della Val Calepio. Nella parte generale vien detto che in “Adraria sono solo traffichi et negotii de bestiami et grassine per servitio della valle et della città”, a evidenza di un’economia agricola fondata sulla zootecnica.

Il territorio era per “la maggior parte in montagna” e pertanto dominavano le colture foraggere, con le quali si alimentavano 700 capi “vachini”, pari a circa 1/3 del totale del comprensorio, 1.500 tra pecore e capre e 23 equini. V’erano però anche grani e uva da vino, i primi bastevoli per 4 mesi l’anno e il vino “per uso”.
Fienagione presso Ponte Brivio,
al confine sud del territorio comunale
Fienagione presso Ponte Brivio, al confine sud del territorio comunale
Gli antichi opifici idraulici lungo il Torrente Guerna
Giovanni da Lezze chiude la relazione sulla terra di Adrara, allora ancora unitaria e formata dai due attuali comuni, in seno al rapporto di fine mandato del 1596, menzionando la presenza di ben 14 “molini da grani” e 2 “folli da panni”. Di questi opifici idraulici, tutti mossi dalle acque del Torrente Guerna, oggi rimangono solo alcune tracce materiali e documentarie.

Negli antichi toponimi citati da don Bruno Bellini nella monografia dedicata alla Valle di Adrara, troviamo, in un atto del XIV secolo, il “Mulino” presso la località “Murera” e poi, in documenti cinquecenteschi, un “edificio a mulino … nella contrada del Furno”, un “edificio a fullando in contrada Anizaniga” (il follo, o gualchiera, era un opificio dove, mediante pestatura, si assodavano e infeltrivano i panni di lana), “un edificio di Follo per follare i panni … nella contrada detta nella Guerna de Catellamis” e infine “due edifici a mulino con seriola e con ruote e canali adatti e pronti a macinare … nella contrada de Ravarolo ove dicesi al Moli de Bressani”.

Altre preziose notizie ci giungono dagli antichi catasti, tra cui quello del Regno lombardo–veneto, iniziato nel primo Ottocento. La mappa di Adrara San Rocco mostra un primo canale di derivazione presso la contrada Dumengoni, in destra idrografica del torrente, e poi un secondo, in sinistra idrografica, che prende le acque poco a monte della contrada Forno, che poi attraversa. Ai Dumengoni il canale adduttore e la ricostruzione della ruota idraulica sono tutt’ora visibili. Prima del confine con S. Martino la carta mostra altri due canali e altrettanti opifici, prima in destra e poi in sinistra idrografica.
Traversa e canale adduttore presso la contrada Dumengoni
Ruota idraulica alla contrada Dumengoni
Lo statuto rurale del 1569
La matrice rurale del Comune di Adrara, che sino al 1754 riuniva i due comuni attuali, è attestata tra gli altri dal suo antico Statuto. Quella giunta sino a noi, e strutturata in 131 capitoli, è la versione del 1569, che secondo gli storici segue quella, andata perduta, del 1448.

Lo statuto altro non è che una raccolta di norme, i capitoli, che disciplina, talvolta in dettaglio e talaltra più sommariamente, i vari aspetti della convivenza di una comunità. Una comunità, quella adrarese d’allora, che viveva quasi in toto di attività agrosilvopastorali: coltivazione, allevamento degli animali, sfruttamento dei pascoli e degli incolti, taglio del bosco.

Tutti i prodotti della terra erano preziosi, anzi vitali, e perciò molti capitoli sono dedicati alla loro tutela. Il 26 prevede ad esempio che “per ciascuna bestia bovina” trovata a danneggiare “biade, viti e nell’erba che sia da segare e prati segati” via sia “pena di 2 soldi per ogni bestia e per ogni volta” e che “la pena sia il doppio” se “trovata di notte”. Idem per capre e pecore, di cui ai capitoli 27 e 28, con pena “di 6 danari per bestia”, e per “porco o porca”, e per “cavallo, mulo o asino maschio e femmina”, di cui ai capitoli 30 e 29, con pena di 2 soldi per ogni bestia e ogni giorno.
Stralcio
dalla pubblicazione
“Statuto del Comune
di Adrara 1569”,

a cura di
Bortolo Pasinelli
e Salvatore Tancredi,

Gruppo
Ricerca Storica,
Adrara San Martino,
2003
Stralcio dalla pubblicazione “Statuto del Comune di Adrara 1569”,
a cura di Bortolo Pasinelli e Salvatore Tancredi,
Gruppo Ricerca Storica, Adrara San Martino, 2003
A guardia dei beni pubblici e privati v’erano i campari, ovvero le guardie campestri e boschive, figure appositamente elette, i quali, leggiamo al capitolo 35, avevano, tra gli altri, il compito di “guardare l’uva e gli altri frutti per le contrade della terra” facendo “buona guardia di giorno e di notte” affinché questi non venissero danneggiati.

Data la loro estensione e importanza nell’economia del tempo, una serie di capitoli sono dedicati ai boschi comunali e ai vasti prati-pascoli del Monte di Bondo, posto nell’alta valle omonima e anch’esso di proprietà comunale.
Coordinamento progettuale, testi e fotografie Stefano D’Adda (Studio GPT, Bergamo) | Progetto grafico Fabrizio Rinaldi (Studio AgriFor, Zanica) | Pagine web https://www.harnekinfo.it | 2023